Buscioni. L’anima segreta delle cose.

Pistoia. Classe 1931, Umberto Buscioni si dedica a tempo pieno alla pittura. A partire dagli anni Sessanta le sue opere tradiscono un’ascendenza informale; sarà solo al rientro da un breve soggiorno in Marocco che inaugurerà una nuova fase della sua Opera. Al rientro in Italia, infatti, l’artista ritrova gli amici Roberto BarniGianni Ruffi e Adolfo Natalini e, così, nel 1966, entra ufficialmente a far parte della Scuola di Pistoia, nota alla critica come la risposta italiana alla Pop Art.

In questa prima fase, Buscioni trova negli oggetti quotidiani un mezzo attraverso cui manifestare il proprio ingegno e materializzare la propria “luce:” si tratta di oggetti comuni che hanno una dimensione quotidiana e che vengono rappresentati con i toni dolci e quasi “colloquiali” peculiari di un rapporto intimo e magico con l’artista. Attraverso la pittura Buscioni sceglie quindi di materializzare la sua personale ricerca in campo artistico: si orienta infatti verso orizzonti manieristi, con esplicite citazioni al Pontormo e a Salviati, in cui le chiare, rassicuranti atmosfere e le luci cristalline sono prevalenti.

Con il passare degli anni, invece, si fanno sempre più forti i richiami al sacro e ai temi biblici, tanto che a partire dal 1980 l’artista realizza visioni pittoriche ai limiti del mistico: santi e angeli in caduta o in ascensione, con stoffe rigonfie dal volo, in atmosfere cupe e tenebrose che probabilmente riflettono uno stato interiore piegato dal trascorrere del tempo. La figura umana, pur carica di energie, è comunque tormentata dalle ombre. In “Innamorati” (1992, disegno su carta) si ritrova e si legge questa tendenza: sembra infatti di scorgervi quanto la leggerezza e la delicatezza di un bacio, quindi di un sentimento, sia in realtà appesantita da un senso di cupa oppressione.

La sua pittura è tutta concettuale, metafisica: un quadro, perciò un’immagine, un soggetto, una forma, un colore, una sfumatura sono, nel complesso, evocativi di un ricordo che risveglia un sentimento. Ed il sentimento è espressione dell’attaccamento più profondo alla vita. A questo proposito, così si esprimeva il Maestro nel descrivere la sua Arte: “Vivere un giorno diverso dall’altro è una straordinaria utopia […] Forse questa varietà di giorni diversi, questa continua avventura, potrà essere il privilegio di un artista che, guardando a ritroso il proprio lavoro, ritroverà il miracolo di una continua invenzione.

Nelle opere di Buscioni si materializzano dunque i ricordi del Maestro attraverso forme e colori che suscitano emozioni in chi ha il piacere e l’occasione di ammirare i suoi lavori. La pittura ha, dunque, una dimensione, sì, concettuale ma che potremmo definire anche spirituale poiché le opere nascono su ispirazione ma si caricano e si legano alla sfera più intima dell’artista soltanto in un momento successivo, che potremmo definire contemplativo. Buscioni crea e dipinge per indole, per sua stessa natura di essere Artista; è una necessità, è una questione sentita a “pelle” che consente ad un’opera di caricarsi di emozioni, in un crescendo ascensionale mirato a raggiungere l’anima più segreta delle cose e la sfera, più intima e pura, del sentimento. Come amava ripetere il Maestro, citando Picasso: la pittura va sempre oltre l’intenzione del pittore.

Questo “istinto creativo” si esplica nella scelta intuitiva di lavorare con materiali ed oggetti di stoffa che poi vengono rielaborati e riproposti su tela; lavorare partendo dalla materia, perciò dalle superfici, ovvero dal superficiale, quindi dall’epidermide delle cose, e trasformarle in immagini consente al Maestro di poter raggiungere e sfiorare la profondità del sentimento. Una superficie presuppone sempre una profondità: concetto della sua poetica, che si applica anche a tutti gli aspetti della vita. In questo senso, specialmente in opere degli anni Settanta, in piena crisi della pittura, quando gli artisti “dimenticano” le tele ed iniziano a praticare lo spazio con installazioni e performance, il segno di Buscioni si fa minimo e i colori si attenuano: questo stile, delicato e leggero, è sia il lascito della sua personale concezione dell’Arte sia la sua risposta mirata e concisa per difendere la potenza e le potenzialità della pittura.

Proprio nei giorni scorsi i figli del Maestro hanno donato al Comune un’opera del 1963, una della fase iniziale della Sua carriera. Vita delle piante. Olio su tela.

In foto: Vita delle piante. 1963. Olio su tela, 150×110.