L’opera del Maraini tra vocazione architettonica, linearismo déco e tradizione rinascimentale.

La collezione della Galleria Civica Mo.C.A. Montecatini Contemporary Art, in continua espansione, si arricchisce di un’opera di alto pregio a firma del Maestro Maraini, dal titolo Figura femminile. Il disegno rientra nell’ambito di una nutrita serie di acquisizioni mirate ad incrementare il prestigio culturale e artistico dello spazio espositivo che già vanta nomi di ambito accademico. La Galleria, dunque, già concettualmente contestualizzata nella realtà artistica contemporanea, continua ad arricchirsi di opere che ne fanno un punto di riferimento culturale per la città, e non solo.

Maraini nasce a Roma nel 1886 e fin da adolescente nutre un forte interesse per l’arte; decide così di trascorrere le sue giornate dividendosi tra le lezioni mattutine al Liceo e i corsi serali all’Accademia di Belle Arti. Laureatosi in Giurisprudenza non rinuncia, comunque, a coltivare la sua più grande vocazione; continua, perciò, a seguire corsi di storia dell’arte e di incisione. Tra il 1910 ed il 1911 è allievo dello studio di Angelo Zanelli, proprio negli stessi anni in cui questi si dedica alla decorazione del fregio dell’Altare della Patria. Spinto dalla passione per la statuaria e per l’arte incisoria, realizza la sua prima opera scultorea nel 1910: si tratta di un Perseo bronzeo che gli vale una medaglia d’argento all’esposizione universale di Bruxelles. L’opera viene poi esposta alla X Biennale di Venezia, del 1912. Nel 1915 è costretto a mettere in pausa interamente la sua vita arruolandosi nell’esercito dove diviene ufficiale di aeronautica; interrompe, quindi, momentaneamente, anche il suo impegno come caporedattore per la Tribuna, attività che riprenderà nel dopoguerra e che gli varrà un premio alla I Biennale romana, nel 1921. Frattanto si interessa allo studio dei suoi contemporanei, primi tra tutti Libero Andreotti, scultore, e Felice Carena, pittore; da queste influenze prendono forma opere scultoree che si caratterizzano per un’elegante sintesi formale, orientata su armoniose formule geometriche, tra cui i bassorilievi Intimità (1919), il Bacio (1920) e il Bimbo svenuto (1921). Convinto del fatto che la sinergia tra artisti e architetti possa portare a recuperare quel celato spirito di fierezza nazionalistica nelle opere pubbliche, ormai dimenticato, dal 1922 instaura un sodalizio artistico e amicale con l’architetto Piacentini; realizza quindi le Tre statue allegoriche per il teatro Savoia di Firenze. Pochi anni più tardi, nel 1924, allestisce una sala personale alla XIV Biennale di Venezia dove espone un ingente nucleo di opere: è questa la conferma ufficiale della fama raggiunta sia a livello nazionale sia internazionale. La sua attività di scultore prosegue quindi con un’intensità sempre più crescente: del 1925 è la S. Cecilia di cui una copia in bronzo viene presentata alla Biennale di Venezia del 1930; l’anno successivo esegue i bassorilievi alla tomba di Puccini a Torre del Lago e la Via Crucis per il Duomo di Rodi. Ingente diviene anche il suo impegno nell’ambito delle rassegne d’Arte: dall’ottobre del 1927 al 1942 riveste il ruolo di segretario generale della Biennale di Venezia; dal 1927 è Segretario del Sindacato regionale degli artisti toscani e nel 1932 viene nominato commissario del Sindacato nazionale degli artisti. In questi anni si prodiga anche nell’organizzazione di eventi per la Biennale di Venezia con il preciso scopo di valorizzare l’Arte italiana anche al di fuori dei confini nazionali: vi istituisce l’Archivio Storico dell’Arte Contemporanea e vi inaugura una sezione interamente dedicata alla Mostra Cinematografica. Si impegna anche nella critica d’arte: oltre a La Tribuna lavora anche per altre riviste tra cui DomusDedaloLa RondaL’Illustrazione italianaThe Studio. Nel 1930 torna a Milano dove, forte del sodalizio con Piacentini, orna il portale della Cassa delle Assicurazioni Sociali (oggi URP-INPS in piazza Missori) con le personificazioni della Domus, del Labor, dell’Amor, della Fides, della Salus e della Virtus in forma di poderosi bassorilievi. Pochi anni più tardi, nel 1932, crea un pulpito civile interamente decorato con formelle che riassumono gli episodi salienti della vita e della cultura artistica-religiosa della città di Brescia; nello stesso anno per il palazzo delle Corporazioni di Roma realizza un Balcone il cui fregio si compone delle figurazioni allegoriche delle corporazioni CreditoIndustriaTrasportiAgricoltura; realizza poi i fregi bronzei, di ispirazione classica, che decorano la celebre scala a doppia elica dell’atrio dei Musei Vaticani. Nel 1938 realizza il bassorilievo La Giustizia cui si sottomette la Colpa (Milano anni Trenta…) per il palazzo di Giustizia di Milano. Gli anni della Grande Guerra spingono poi il Maestro a ritirarsi nella sua casa fiorentina di Torre di Sopra dove inizia a distaccarsi dalla sua carriera artistica per dedicarsi quasi totalmente al riordino dei suoi documenti, poi confluiti in un fondo conservato all’Archivio della Galleria Nazionale d’Arte Moderna di Roma. Nel maggio 1963 Maraini ci lascia, compianto dalla critica contemporanea.

Il Maestro, che ha lasciato un’impronta indelebile nella Storia dell’Arte italiana del primo Novecento, si è dedicato in particolare alla ritrattistica e alla scultura che reinterpreta in chiave del tutto personale. Nelle sue opere è infatti riuscito a mixare magistralmente la tradizione rinascimentale con il linearismo di gusto prettamente déco; da questo connubio prendono forma veri e proprio “unici” in cui spicca quell’elegante sensibilità architettonica che contraddistingue il suo stile. I suoi bronzi sono il frutto di influenze artistiche che spaziano dalla tradizione ottocentesca alla più moderna corrente secessionista, prerafaellita; lo studio delle forme si fonda sulle lezioni di Zanelli, Rodin, Cézanne, Meštrovič. In estrema sintesi, dunque, Maraini libera la linea scultorea dal bozzettismo e dalla disgregazione dell’impressionismo, recupera solidità e dona concretezza formale ai suoi soggetti. Il linguaggio scultoreo si evolve, quindi, dalla tradizione classica rinascimentale nel sentito sforzo di sublimare la lezione del passato con le stringenti esigenze di sintesi decorativa tipiche della temperie artistica del momento.

In foto: Profilo femminile (1939). Matita, carboncino e pastello su carta mm 405×300.