Caserta, classe 1956. Franco Marrocco, Docente all’Accademia di Belle Arti a Brera, già Direttore dell’Accademia e per due mandati Presidente della Conferenza Nazionale dei Direttori delle Accademie delle Belle Arti, interpreta la Pittura come una trascrizione, su tela, della condizione umana. Il suo curriculum vanta partecipazioni a mostre collettive e personali che, dalla fine degli anni Settanta, si sono susseguite sia in territorio nazionale sia estero. Tra gli eventi più importanti di ambito italiano si ricorda la partecipazione alla 54ª Biennale di Venezia e alla XI Quadriennale di Roma. In territorio estero si ricordano le personali tenutesi a Parigi in occasione de la Chambre de Commerce Italienne pour la France; la partecipazione alla mostra The Modernità of Lirism promossa dall’Istituto Italiano di Cultura tenutasi presso la Gummensons Kontgallery di Stoccolma ed il Joensouu’s Art Museum in Finlandia; la partecipazione a Territori del sud tenutasi presso Spazio Martadero di Cochabamba, in Bolivia; la partecipazione alla Call For Papers promossa dall’Istituto Italiano Cultura di Los Angeles. Dal mese di settembre 2021 la Galleria Civica Mo.C.A. Montecatini Contemporary Art può vantare in collezione un’opera dell’artista; infatti, nell’ambito dell’ambizioso progetto Florilegio italiano – artisti invitano artisti, Marrocco ha gentilmente donato “L’eco del bosco”, splendido olio su tela che, dunque, contribuisce a dare lustro e prestigio ad una collezione già importante.
L’Arte di Marrocco è un esempio di complessità linguistica ed è una fonte inesauribile e rinnovabile di ricchezza immaginativa. Le sue tele possono considerarsi il frutto di una profonda e lucida ricerca emozionale resa possibile per mezzo del connubio tra due elementi che contraddistinguono il suo studio in campo pittorico: la luce e lo spazio. Nelle sue opere, colore e tela interloquiscono vicendevolmente, dando vita ad una o più figure che, a loro volta, nascondono e, contemporaneamente, regalano infinite possibilità di rappresentazione ed interpretazione. Appare, dunque, chiaro quanto il segno pittorico sia inteso come il mezzo attraverso cui poter dare materia a ciò che è totalmente immateriale, ovvero conferire solidità ad un’indagine intimamente personale che, inizialmente percepita come necessità, si profila più compiutamente con i connotati di una profonda introspezione vissuta in un continuo crescendo.
Questo approccio porta Marrocco a maturare l’idea, la consapevolezza e, poi, il progetto di dover forzatamente proporre un rinnovamento artistico per mezzo di nuove sperimentazioni; attingendo alla fotografia e all’astrazione pura, senza inibizione alcuna, senza ombra di pregiudizi né timori, l’artista riesce così a dare vita ad opere caratterizzate da un potente linguaggio espressivo che trasmette un senso di irrequietezza intesa come superamento dei limiti e dei confini dell’Arte. Le sue opere si basano, quindi, su attriti coloristici, estreme cromie bipolari, a toni drammatici e onirici, psichici e leggiadri, avvolgenti e spaziali, in cui il pigmento, così denso, magnetico, magmatico, ipnotico trascina lo spettatore all’interno della tela. L’artista inizia, dunque, a scomporre e a ricomporre gli oggetti con un approccio che viene squisitamente definito architettonico, finalizzato alla rappresentazione dell’oggetto su tela; in questa prima fase, infatti, il gesto pittorico segna, divide ed ordina gli spazi sulla superficie, mirando, al contempo, alla profondità tridimensionale in cui trovano campo gli oggetti scomposti, le cui forme originarie sono rappresentative di un pensiero, di una sensazione. L’artista inizia, così, ad interpretare e poi utilizzare la luce come unico strumento che rende possibile la rappresentazione degli oggetti poiché permette lucide manomissioni e calcolate strutturazioni compositive. La tela diviene, quindi, il teatro, anzi, il palcoscenico di una rappresentazione, su cui danza una figura che nella sue continue metamorfosi architettoniche non si svela ma si lascia appena intuire e, al contempo, sembra custodire e svelare la memoria di una esistenza precedente, ovvero la sua forma.
Marrocco intuisce, così, le potenzialità espressive ed impressive della luce ed inizia a sperimentarne l’uso al fine di tracciare su tela prospettive che sono scie emozionali che, dunque, condicano alla rappresentazione dell’intelligenza emotiva, dei pensieri più intimi dell’artista che è uomo, entro dimensione umana. Così, la luce, da strumento architettonico, diviene un vero e proprio mezzo espressivo grazie al quale l’io dell’artista può concretizzarsi con potenza, fino ad esplodere per svincolarsi del tutto dalla forma più formale.L’emozione è dunque luce che si manifesta in un’accecante deflagrazione, resa possibile dall’impeto stesso del gesto con cui l’autore dipinge, come in un puro atto liberatorio; la luce si ribella ad ogni forma coercitiva e diviene pioggia impetuosa, si fraziona in scaglie e briciole di cosmica ispirazione che generano altre, infinite, ed infinitesimali, potenzialità sensoriali, emozionali e tecniche. Entro questa esplosione che si connota come un Big Bang interiore, ovvero espansione dell’essenza più profonda, ancestrale, umana dell’artista, la cromia inizia a giocare un ruolo determinante in quanto contraltare all’assolutezza del bianco e diventa, perciò, una sorta di deus ex machina. Il colore si fa, sostanzialmente, potenza generatrice di una o più figure, ovvero pensieri, di cui non si vede il corpo ma di cui si percepisce un’ombra che sottende una presenza avvertita come ricordo. Su tela prende quindi spazio un vero e proprio macrocosmo a cui lo spettatore può partecipare grazie al supporto stesso che diviene campo di sperimentazione poiché è l’unico oggetto tangibile e reale.
In questa esplosione fecondatrice che genera il macrocosmo di emozioni, la forma non ha una materia e si percepisce solo attraverso la sensazione generata dall’intuizione stessa; vale a dire, la forma si svela, quasi impercettibilmente, nella sua flebile materialità per mezzo di scansioni e ripartizioni dello spazio pittorico. Nelle opere di Marrocco, dunque, la conoscenza della realtà è totalmente e magistralmente priva di formalità e si riduce all’essenzialità; si assiste pertanto ad una rivisitazione del conosciuto ovvero alla resa materica di ciò che immateriale mediante la costruzione architettonica dell’ascoltare e dell’ascoltarsi, del sentire e del sentirsi. Questa ricerca emozionale e sensazionale che crea oggetti intuibili solo da sprazzi di luce assoluta, conduce l’autore ad adottare una nuova prospettiva: nel tentativo, infatti, di dare materia al cosmo emotivo, Marrocco si cala nelle tenebre e negli abissi, come fosse un viaggio di dantesca memoria. L’autore cerca e, dunque, ritrae, la materia primordiale da cui tutto si è originato e da cui tutto continua ad originarsi: il magma che, nella sua assenza di forma in quanto materiale malleabile, può materializzare la sfera emozionale più intima dell’uomo che è qualcosa di profondamente imperscrutabile, viscerale ed ancestrale. Questo viaggio nelle tenebre si arricchisce, però, di sprazzi di luce che suggeriscono quindi attimi, lampi, bagliori di lucidità, nonché prodromi di nuova ricerca. Successivamente a questo senso di buia gravità, infatti, l’artista sembra avvertire la necessità di un respiro, di aria pura, che può realizzarsi solo con un salto verso l’alto, verso la freschezza dell’atmosfera più limpida. Lo studio della cromia si rivela, anche in questa occasione, strumento imprescindibile di cui servirsi per trasmettere un nuovo senso di leggerezza e condividere un nuovo viaggio. Nelle sue opere si notano, quindi, geometrie i cui colori sembrano depositarsi delicatamente su tela come fossero esiti del volo di una piuma, con toni timidamente accennati che delineano oggetti e forme intese come frammenti della memoria del viaggio precedente. L’autore si svincola, quindi, da quel magnetismo abissale che lo ha condotto, come un Orfeo con la sua Euridice, alla ricerca del sentimento più oscuro ed ancestrale, per intraprendere un volo diretto verso il cielo: dal blu oceanico l’autore si slancia verso l’azzurro siderale che quasi sfiora la trasparenza nella sua stessa leggerezza, e plana attraversando atmosfere rarefatte in cui si svelano stelle rese a tratti di bianco pungente. L’artista, lavorando lo spazio pittorico come fosse un campo fotografico in cui mescola gli effetti di micro e macro, offre la possibilità allo spettatore di camminare entro la tridimensionalità della tela che è la materializzazione del cosmo interiore.
Marrocco è, dunque, un artista capace di sublimare un viaggio che è ricerca sensoriale ed emozionale resa possibile solo attraverso ricerca e sperimentazione tecnica. Le sue tele sono la realizzazione dell’irreale, ovvero la materializzazione dell’intelligenza emotiva composta da mille sfaccettature, sensazioni e pensieri che formano il macrocosmo sensoriale dell’uomo; sono la traccia cartacea su cui l’artista può imprimere la forma di questo complesso universo che è composto di materia, ovvero memoria, primordiale. Le sue tele sono tracce dell’anima, intime, individuali, cosmiche ed universali perché raccontano l’io dell’artista, cioè un uomo che si rispecchia nel sociale; sono, ognuna, il frutto di una ricerca emozionale che mira ad indagare e a scoprire il cosmo delle fragilità umane. Le sue tele si rivelano, quindi, come fossero metaforici tasselli di un mosaico, passi di un viaggio, momenti di vita in cui il raggiungimento, inaspettato e repentino, di un obiettivo, cambia inevitabilmente la realtà delle cose e, a volte, l’oggetto stesso della ricerca. “La pittura ha una vita propria ed io cerco di lasciarla vivere” scriveva Pollock; Marrocco ne ha, dunque, ereditato e magistralmente reinterpretato l’ottica.
In foto: “L’eco del bosco”, 2017, tecnica mista su tela, cm 100×150