Castel del Piano, classe 1987. Jacopo Ginanneschi, diplomatosi all’Accademia di Belle Arti di Firenze, alla Scuola di Pittura del Prof. Bimbi, nel 2011 lavora al Museo Pecci di Prato come assistente del pittore Nicola de Maria. Pochi anni più tardi, il 4 Ottobre 2017, viene eletto Accademico d’Onore, a cui segue, nell’ottobre 2019, il conferimento del titolo di Accademico Ordinario. Nel corso della sua carriera artistica, ha preso parte a numerose collettive sia di ambito nazionale sia estero: ha esposto a Firenze, alla Galleria degli Uffizi; ha esposto a Daugavpils, in Lettonia, dove ha partecipato all’International Plein Air Mark Rothko, e dove due sue tavole fanno parte della collezione permanente del Museo di Arte Contemporanea; ha esposto a Tsukuba, in Giappone, alla collettiva Fine Art University. Dal mese di settembre 2021 anche la Galleria Civica Mo.C.A. di Montecatini Terme si arricchisce di una sua opera, Il Trono (2017), gentilmente donata nell’ambito dell’ambizioso progetto “Florilegio Italiano – artisti invitano artisti” promosso dall’Assessorato alla Cultura della città. L’opera, un elegante olio su tavola, contribuisce ad impreziosire la già notevole collezione dello spazio espositivo.
L’arte di Ginanneschi è stata definita una pittura d’incanto, in cui si miscelano reale e ideale; è una rappresentazione immaginifica del vero; è una pittura del sogno; è, in definitiva, la rappresentazione più intima del paesaggio e del mondo. L’artista muove infatti da un’osservazione diretta della natura che, ritratta nitidamente con una precisione ottica e di dettaglio tali da ricordare uno scatto digitale, viene poi rappresentata in forme più gentili, in morfologie ed atmosfere dolci, quasi rassicuranti, “disciplinate” dalla tecnica ad acquarello. Si intuisce, dunque, la ragione per cui Ginanneschi sia stato definito pictor classicus: è un Artista che basa la sua Arte sulle lezioni degli antichi maestri rielaborandole e proiettandole nell’attualità attraverso un’interpretazione del tutto personale, frutto della sensibilità della sua mente; dunque, i suoi paesaggi sono, allo stesso tempo, cuore e ragione, sentimento e lezione, memoria dell’antico e attitudine al tempo contemporaneo.
Il paesaggio ritratto è quello del mondo vissuto rappresentato in forme delicate, avvolte da atmosfere pacate, in cui riecheggia sia la memoria iconografica della tradizione pittorica del Trecento e del Quattrocentro toscano, sia il rigore, le precisione, l’ordine realista e metafisico – quasi asettico – del Novecento. Nelle sue tele trovano spazio panorami, geografie ed oggetti che ricordano sia i capolavori di Giotto, Paolo Uccello, Piero della Francesca, Duccio di Buoninsegna, Simone Martini, Beato Angelico […], sia la precisione quasi retinica dei pittori del Novecento, da Magritte a De Chirico. I due elementi, base della grammatica artistica di Ginanneschi, riescono a convivere in un gioco di equilibrio e trovano un connubio squisitamente perfetto su tavola.
Caratteristica è l’adozione di una prospettiva multipla, antitetica rispetto al modello rinascimentale, che, creando piani sfalzati, non organizza lo spazio pittorico in senso frontale unidirezionale rispetto all’osservatore ma induce ad assumere un punto di vista interno al quadro: l’effetto finale è quello di un tour virtuale in cui lo spettatore è avvolto dal panorama rappresentato ed è calato in esso come ne fosse immerso e lo vivesse appieno, compiutamente. I suoi paesaggi sono dunque realtà tridimensionali che vengono dipinte “ad alta definizione” in cui la precisione chirurgica e la “multispazialità” creano un’alterazione della visione ed un effetto di straniamento e spaesamento. Questo turbamento iniziale lascia, però, quasi immediatamente spazio alla scoperta della dimensione irreale.
La grammatica pittorica di Ginanneschi si basa anche sull’eco della ritrattistica medievale, in particolare in relazione all’uso strumentale del colore; l’artista, infatti, in un certo qual modo, pianifica la preparazione dei pigmenti affinché da essi scaturisca una pittura ferma, vale a dire volumetrica e affine al reale, plasticamente leggibile, che dunque possa poi offrirgli un caleidoscopio di possibilità espressive ed impressive. Esemplificativa, in questo senso, è l’opera Il Trono (collezione Mo.C.A.) in cui il paesaggio è un’immagine affine al vero ma allo stesso tempo è ideale poiché frutto di una sintesi metabolica che trasforma il dato puramente e meramente oggettivo in una dimensione atemporale, sentimentale, sensoriale, sognante. In questa tavola e nell’Arte, tutta, di Ginanneschi, nei suoi inconfondibili paesaggi si legge, dunque, la critica di Bahr secondo cui la pittura è, sì, vedere ma il vedere è una forma di cognizione che combina la capacità della retina con le facoltà del pensiero.
In foto: “Il trono”, 2017.